Federica Pellegrini nel suo recente libro “Oro” racconta la sua vita sia privata che sportiva con estrema sincerità e con la schiettezza che la caratterizza, parlando delle vittorie in vasca, delle medaglie olimpiche ma anche delle fatiche, dei fallimenti e dei problemi psichici che negli anni ha affrontato anche grazie alla psicoterapia.
Federica narra di un difficile momento della propria vita in cui inizia a soffrire di attacchi di panico che le capitano quando è in vasca durante gli allenamenti e durante le gare. La Pellegrini sta male e fa fatica a capire il perché della sua ansia e soprattutto a credere alle parole del suo terapeuta e del suo allenatore che cercano di rassicurarla sul fatto che non sarebbe successo quello di cui aveva più paura, cioè quella di morire raggiunti i 50 metri stile libero. A “sboccare” la situazione ci pensa un sogno che la nuotatrice racconta così:
“Ho sognato che ero sul blocco di partenza per i 400 stile libero in non so quale circostanza. So solo che dovevo fare questi 400, tra l’altro in vasca corta, quella in cui mi era partita la crisi. Tre fischi per avvicinarsi al blocco, due fischi per salire. Al takes your marks mi rendo conto di avere ancora l’accappatoio addosso. L’accappatoio della mia squadra, blu con le strisce gialle. Non sapevo che fare. L’arbitro stava per dare la partenza e io non potevo scendere e toglierlo. Così quando ho sentito fischiare mi sono tuffata. Con l’accappatoio. E ho iniziato a nuotare pensando soltanto che non potevo mollare, dovevo arrivare in fondo. L’accappatoio, impregnato di acqua, era pesantissimo, facevo una fatica mostruosa ma non mollavo, nuotavo, respiravo. Dai, Fede, pian piano la finiamo, mi dicevo. E avevo la sensazione che, bracciata dopo bracciata, qualcosa stesse accadendo. Nuotavo e sentivo che ero abbastanza forte per farcela, che nonostante tutto sarei arrivata in fondo, ci sarei riuscita. E infatti, stremata, a un certo punto ho toccato il bordo: ce l’avevo fatta.”
Grazie al sogno Federica riesce a identificare le proprie paure materializzandole nell’immagine dell’accappatoio bagnato che, come gli attacchi di panico, rendono difficile arrivare a fine vasca. Ma se nella vita diurna non riusciva a dare un nome a ciò che le stava succedendo, di notte, grazie al sogno rende individuabili i propri tormenti che materializzati in un oggetto concreto possono essere riconosciuti e successivamente gestiti. La Pellegrini dopo aver fatto questa esperienza onirica riesce metaforicamente a togliersi l’accappatoio di dosso e ricomincia a vincere in acqua dopo aver ritrovato la fiducia nel suo psicologo, nel suo allenatore e soprattutto in se stessa.
Pellegrini, F. (2023). “Oro”. La nave di Teseo editore, Milano.