Melanie Klein (1882-1960) fu una psicoanalista ebrea viennese molto creativa e originale. Scoprì il lavoro di Freud all’età di 26 anni e dedicò la sua vita ad arricchirlo e sfumarlo in modi intriganti e preziosi. Lei è forse meglio ricordata oggi per una teoria dal suono improbabile ma intrinsecamente sensata, avanzata nel suo libro La psicoanalisi dei bambini (1932), su un “buon seno” e un “cattivo seno”.
L’eredità di Freud
Freud aveva raggiunto la fama evocando quanto profondamente inaccettabili siano molti dei nostri desideri nelle loro forme grezze, non mascherate. Sotto la superficie civilizzata, nelle nostre menti inconsce, siamo motivati da quello che l’inventore della psicoanalisi chiamò “il principio del piacere“. Esso ci spinge a desiderare una serie di cose sorprendenti, anarchiche e (da un punto di vista quotidiano) semplicemente scioccanti. Vogliamo uccidere, castrare e mutilare i nostri nemici, essere le persone più potenti della terra, fare sesso con parti del corpo insolite di uomini, donne e bambini, accoppiarci con membri della nostra stessa famiglia e diventare immortali.
Questi desideri sono così esplosivi, peculiari e pericolosi che devono essere dominati dalla mente razionale, o dall’io. Ma questo processo può andare più o meno bene. Dipende da come la nostra mente cosciente emerge dai capricci dell’infanzia. Alla meno buona, nei nostri tentativi di reprimere queste richieste inconsce e impossibili, cadiamo prede di nevrosi e inibizioni che ci difendono da ciò che vogliamo, ma solo a un prezzo molto alto: diventiamo sterili e gravemente immobili nella vita quotidiana.
Per esempio, possiamo non essere in grado di lasciare la casa (perché una parte di noi è così spaventata che potremmo uccidere qualcuno). Possiamo diventare impotenti (perché siamo in qualche modo nel profondo terrorizzati dall’aggressione della figura paterna in relazione al nostro potere). Oppure possiamo fallire in ogni cosa che facciamo (per essere sicuri che non stiamo rivaleggiando un fratello di cui siamo spaventati e segretamente invidiosi). Sono queste le nevrosi che la psicanalisi si propone di fronteggiare. Per aiutarci a capirle e smontarle pazientemente, in modo che possiamo diventare più flessibili, meno inibiti nella valutazione della realtà.
Melanie Klein, la scoperta della psicanalisi e l’analisi dei bambini
Melanie Klein ha scoperto la psicanalisi nel 1914 ed è stata catturata dalle ambizioni e dalla saggezza della materia. Una donna estremamente intelligente, che era stata trattenuta dal padre dal desiderio di diventare medico e che era stata spinta dalla famiglia a un matrimonio senza amore con un uomo rude e poco piacevole con cui non aveva molto in comune. Divenne annoiata, frustrata sessualmente e mentalmente instabile. La psicanalisi la salvò. Lasciò il marito, lesse ogni cosa che poteva, partecipò ai seminari e cominciò a pubblicare degli articoli.
Presto da Freud si inoltrò in un’area che molti analisti avevano trascurato: l’analisi dei bambini. Freud era scettico sul fatto che i bambini potessero essere analizzati in maniera appropriata. La loro mente secondo lui era troppo poco formata per permettere di avere una visione dell’inconscio. Melanie Klein sosteneva, invece, che un analista poteva ottenere una visione del mondo interiore del bambino attraverso uno studio di come giocasse con i giochi in sua presenza. La Klein, dunque, equipaggiò il suo studio con cavallini, pupazzetti, trenini e osservò come i bambini giocassero con questi.
Melanie Klein e il lavoro con i bambini
Si affermò come analista infantile, prima a Berlino e poi a Londra, dove si era trasferita nel 1926 e vi rimase per il resto della sua vita (diventando una star nel Bloomsbury Group e amica di Virginia e Leonard Woolf).
Nel suo lavoro con i bambini, Melanie Klein voleva comprendere come l’essere umano si evolve dal piacere primitivo della ricerca degli impulsi della prima infanzia verso un adattamento più maturo. In particolar modo, voleva sapere cosa può andare storto in questo percorso, portando a comportamenti nevrotici negli adulti.
In un primo e fondamentale momento fu colpita dalle difficoltà della situazione infantile. Secondo le parole della psicanalista Julia Kristeva, la Klein descrisse le giornate dei neonati con l’orrore dei quadri di Hieronimus Bosch. Deboli, totalmente alla mercé degli adulti e incapaci di comprendere cosa stia succedendo, i bambini – secondo la Klein – cercano di capire che le persone attorno a loro siano effettivamente persone, con le loro realtà diverse e punti di vista indipendenti.
Il rapporto madre-bambino: seno buono e seno cattivo
Nelle prime settimane, la madre non è nemmeno “una madre” per il figlio, ma è – per arrivare al nocciolo della questione – solo un seno che appare e scompare con una casualità dolorosa e imprevedibile. In relazione alla madre, tutte le esperienze infantili sono momenti di intenso dolore che poi, per qualche motivo che non riescono a capire, diventano momenti di ugualmente intenso piacere.
Quando c’è il seno e il latte, il bambino prova una calma e una soddisfazione primordiale. Viene diffusa la sensazione di benessere, gratitudine e tenerezza (sensazioni che nell’età adulta sono associate con l’essere innamorati, un momento in cui il seno continua ad avere un ruolo importante per molti).
Ma quando il seno è desiderato e non c’è per qualsiasi motivo, allora il bambino viene lanciato in un panico misterioso. Sente di morire di fame, è arrabbiato, terrificato e rancoroso. Questo, secondo la Klein, porta il bambino ad adottare un meccanismo di difesa primitivo contro quella che altrimenti sarebbe un’ansia intollerabile.
Divide la madre in due seni differenti: un seno “buono” e un seno “cattivo”. Il seno cattivo è odiato ardentemente. Il bambino lo vuole mordere, ferire, distruggere come oggetto della sua ingrata frustrazione. Ma il seno buono è riverito con una uguale, se non più benevola, intensità.
Il superamento del dualismo
Con il tempo, in uno sviluppo salubre, questa separazione guarisce. Il bambino gradualmente percepirà che non c’è un fondo di verità dietro il seno buono e quello cattivo, ma entrambi appartengono alla madre che è un insieme di positivo e negativo: una fonte di piacere e frustrazione, gioia e sofferenza.
Il bambino (che in questo momento si aggira intorno ai 4 anni) scopre l’idea chiave della psicoanalisi Kleiniana: il concetto dell’ambivalenza. Per essere in grado di sentirsi ambivalente per qualcuno, per i Kleniani, c’è un enorme traguardo psicologico ed è il primo segno sul percorso di una sana maturità. Ma non è inevitabile o sicuro. L’area grigia è difficile da raggiungere. Solo lentamente un bambino sano può capire la distinzione cruciale tra l’intenzione e l’effetto, tra ciò che la madre può volere per lui e ciò che il bambino può sentire con le sue mani. Mentre nessuna madre sana vorrebbe frustrare e spaventare il proprio figlio, questo figlio può tuttavia essere stato gravemente ferito o confuso dalla madre.
La “posizione depressiva” secondo Melanie Klein
Questa complessa realizzazione psicologica appartiene a ciò che Melanie Klein ha chiamato “la posizione depressiva”. Si definisce come un momento di sobrietà o malinconia in cui il bambino che cresce porta (inconsciamente) avanti l’idea che la realtà è più complicata e meno moralmente precisa di come aveva immaginato in precedenza.
La madre (o altre persone in generale) non possono essere accusate direttamente per ogni sconforto, quasi nulla è totalmente buono o totalmente cattivo, le cose lasciano perplessi, creando un miscuglio di pensieri sul buono e sul cattivo… Questo è difficile da accettare – per Klein – e spiega molti sguardi persi nel vuoto che a volte fanno entrare negli occhi del bambino che sogna ad occhi aperti. Questi piccoli esseri sembrano stranamente saggi e seri in alcuni momenti: stanno, in qualche modo nel profondo, analizzando l’ambiguità morale del mondo reale.
La “posizione schizo-paranoide” secondo Melanie Klein
Sfortunatamente, nell’analisi di Melanie Klein, non tutti trasformano il tutto in una posizione depressiva, per alcuni si rimane bloccati in questa divisione primordiale e si definisce così la posizione schizo-paranoide.
Per molti anni, anche in età adulta, queste persone si trovano inabili a tollerare anche la minima ambivalenza. Proni a conservare il loro senso di innocenza, devono amare o odiare. Devono cercare dei capri espiatori o idealizzare. Nelle relazioni, tendono ad innamorarsi violentemente e poi, al momento inevitabile in cui l’amante in qualche modo li delude, cambiano in modo repentino e diventano incapaci di provare qualcosa. Questi sfortunati probabilmente viaggiano di candidato in candidato, cercando sempre una visione di completa soddisfazione, che viene ripetutamente violata dall’errore non scritto da parte dell’amante.
Non dobbiamo credere parola per parola alla verità della teoria della Klein per vedere che tutto ciò ha un valore come una visione inusuale ma utile della maturità. L’impulso a ridurre le persone in ciò che possono fare per noi (darci il latte, darci i soldi, mantenerci felici), piuttosto che per ciò che sono loro stessi (esseri dalle mille sfaccettature con i loro elusivi centri di gravità), può essere osservato dolorosamente nella vita emotiva in generale. Con l’aiuto di Klein abbiamo imparato a venire a patti con la natura ambivalente delle relazioni che appartengono alla crescita (un compito che non smettiamo mai di svolgere).
FONTE: FORMAZIONE CONTINUA IN PSICOLOGIA